Il termine tonnara riporta ad una tradizione antica di mestieri quasi dimenticati. La pesca del tonno in Sicilia ha origini secolari. Già Omero faceva riferimento a questa pratica, attuata dagli abili pescatori insulari che catturavano grandi creature marine radunate in branco nelle acque più basse. Queste creature erano i tonni rossi, conosciuti come tonni pinna blu. Ma è intorno all’anno 1000 che la pesca del tonno raggiunge il suo apice, grazie all’introduzione (da parte degli arabi) della pesca con la tonnara, utilizzando il metodo della mattanza. Per tonnara si intende sia l’insieme delle particolari reti usate per raggruppare i tonni durante la pesca, sia il luogo in cui la pratica si svolge. Sulle coste siciliane nacquero decine di tonnare che seguivano tutte lo stesso antico rituale di pesca. Sviluppate e regolamentate in epoca normanna, fiorirono intorno ai primi dell’800, vedendo anche la nascita di stabilimenti per la lavorazione del pescato. Oggi la pratica della pesca con la tonnara è stata dismessa, a causa soprattutto della riduzione del numero di esemplari di tonno rosso.
L’ultima in Sicilia si è svolta nel 2007 nella tonnara di Favignana, (proprietà della famiglia Florio), oggi museo e splendido esempio di archeologia industriale. Ciononostante parlando di tonnara si fa oggi riferimento ad un importante patrimonio storico-culturale della Sicilia.
Cos’è e come funziona la tonnara
Sulla base del percorso di migrazione dei tonni le tonnare potevano essere “di andata” o “di ritorno”. Quelle di andata, situate nella parte occidentale della Sicilia (come Favignana), intercettavano il flusso in entrata dallo stretto di Gibilterra, tonni carichi di uova da depositare nelle calde acque del Mediterraneo; quelle di ritorno, sulle coste sud-orientali, si occupavano dei tonni in viaggio verso l’oceano. In queste ultime il lavoro dei tonnaroti cominciava a giugno, mente nelle tonnare di andata, ad aprile. Il lavoro dei pescatori era guidato dal Rais (in arabo capo) e consisteva nel sistemare in mare un impianto di reti disposto a sbarramento di uno specchio d’acqua. L’impianto presentava una coda (un corridoio di entrata per incanalare i tonni di passaggio nel golfo) e una serie di camere, l’ultima delle quali chiamata “camera della morte”. La camera della morte era dotata di rete anche sul fondo, che nel giorno della mattanza veniva tirata su a mano per procedere alla cattura dei tonni. Dopo circa un mese, o quando il Rais reputava sufficiente il numero di tonni irretiti, i tonnaroti uscivano con le barche. Sotto lo sguardo attento del loro leader che navigava a bordo di un barchino (muciara), i pescatori indirizzando i tonni verso l’ultima camera per la mattanza, con manovre sapienti e secolari di apertura e chiusura delle porte.
Il Rais e il rito della mattanza
Il Rais era il capo assoluto della tonnara e veniva trattato con rispetto. Era scelto dal proprietario dell’impianto e dai tonnaroti più anziani. Uomo di istinto ma con grande esperienza, sapeva come calare e disporre le reti in mare senza commettere errori. Conosceva i fondali, le abitudini e il comportamento dei tonni; sapeva leggere il cielo per predire le condizioni meteo. Conosceva i rituali e i segreti del suo ruolo, trasmessi con sapienza di padre in figlio. Sapeva perfettamente quando era il momento di agire: e allora i tonnaroti partivano sulle loro barche, e si disponevano sul perimetro della camera della morte, fissando i bordi della rete di fondo alle fiancate. Tutti gli occhi erano puntati sul Rais, lo sciamano del rito, che in piedi sulla sua muciara, al centro della camera, impartiva ordini con solenni cenni delle braccia. L’acqua cominciava ad agitarsi mentre i tonni venivano portati verso la superficie. Il Rais dirigeva la messa in scena secolare: sbattere di pinne, uomini in movimento, canti di cialome, preghiere, arpioni e acqua che si tinge di rosso. Uno spettacolo atroce e bellissimo allo stesso tempo, il rinnovarsi dell’eterna lotta tra l’uomo e la natura.
La Tonnara di Favignana
A Favignana l’impianto della tonnara consisteva in 7 km di reti, 80 km di cavi d’acciaio e circa 300 ancore. Intorno agli anni ‘70 impiegava il lavoro di 72 tonnaroti organizzati in 15 barche, di cui solo 2 (barche rimorchio) motorizzate. Queste erano addette al trasporto del materiale per l’impianto e al rimorchio delle altre imbarcazioni. In antichità le barche rimorchio (Varcazze) venivano spinte da sei coppie di remi.
La tonnara vera e propria iniziava ad aprile e durava 100 giorni, ma era preceduta da due mesi di preparazione (tonnara a terra). Il lavoro in mare dei tonnaroti era anticipato da quello dei retaioli, dei maestri cordai, dei carpentieri e dei mastri d’ascia (che si occupavano delle riparazioni delle barche). Dal 1957 a questa schiera di artigiani si aggiunse “l’uomo in più”, il sommozzatore di tonnara, che aveva il compito di controllare la messa in acqua e lo stato dell’impianto. Rais di Favignana, dal 1996 fino all’ultima tonnara del 2007, è stato Gioacchino Cataldo, gigante buono di 2 metri per 130kg: già marinaio a 14 anni fu tonnaroto appassionato per altri 33. Grande conoscitore del mare e della tradizione millenaria della pesca con tonnara, divenne divulgatore di questo importante patrimonio culturale, tanto da essere inserito, nel 2006, tra i “Tesori Umani Viventi” del Registro Eredità Immateriali della Sicilia. E’ scomparso nel 2018, ultimo Rais di Sicilia e insieme, forse, ultima speranza di veder tramandata e ricordata un’arte millenaria. Ma ci piace immaginarlo ancora in mare, sulla sua barca, mentre come Ulisse scruta l’orizzonte sognando mondi nuovi.
Elena Di Maio – Trapani Post